In questa rubrica voglio segnalare delle novità editoriali e recensire libri, pagine web. Proporre link e articoli sugli scacchi apparsi sulla rete.

Scacchi a colazione.

La copertina della “mia” copia!

Da ieri ho finalmente tra le mie mani una “rara” copia di “Scacchi a colazione” di Carlo Bolmida (esattamente la copia n° 126/133). Si tratta di una fantastica raccolta di aforismi, proverbi, poesie, articoli tutti a tema scacchistico, impreziositi praticamente ad ogni pagina da un opera dello stesso Bolmida che da qualche mese ho l’onore di ospitare anche nel mio blog, ma soprattutto che ho il piacere di avere con lui una bellissima e stimolante corrispondenza pressoché giornaliera.

Come viene suggerito il libro è da leggersi a “volo d’aquila”, un po’ per volta: scoprendo ogni volta una frase da cui lasciarsi ispirare per il resto della giornata. Così ho fatto io stamattina, a colazione, ho aperto a caso ed ho letto una bellissima considerazione di un anonimo: “Come possiamo sapere che l’uomo di Neanderthal giocasse a scacchi alla cieca? Scavando nei loro siti non è stata trovata alcuna scacchiera né alcun pezzo.”
Ho chiuso il libro e mi sono ripromesso di pensarci durante la giornata. Ho fantasticato che gli scacchisti della preistoria fossero molto più abili di noi essendo in grado di giocare a scacchi senza scacchiera!

Nel libro di Carlo (personaggio eccezionale che ha al suo attivo una avventurosa navigazione al Capo Horn, di cui tornerò a parlare)  ci sono numerosissimi suoi personali aforismi, indicativi di una personalità brillante e ironica che – verosimilmente – deve aver preso poco sul serio gli scacchi se non ha raggiunto grandi vette nell’agonismo. In compenso è stato, con Bruno Manzardo, un attivo dirigente della Società Scacchistica Torinese e anche questo potrebbe aver inciso in un rallentamento dei suoi impegni agonistici.
In ogni caso la creatività e la fantasia che Carlo Bolmida ha trasmesso con le sue opere è senza dubbio molto più preziosa alla popolazione mondiale degli scacchisti  di quella di qualche monomaniaco GM che non è stato in grado di trasmettere la sua passione neppure ai suoi figli.

“Scacchi a colazione” edito da Messaggerie Scacchistiche raccoglie oltre 900 aforismi, citazioni e curiosità scacchistiche. Io ho deciso di sorseggiarle, come stamattina, una alla volta e raccomando ai miei lettori di affrettarsi a procurarsene una copia, dal momento che dal mio ordine sono passate tre settimane prima di riceverlo.

 

I segreti del Castello degli scacchi

 

Durante il campionato nazionale under 16, svoltosi nella prima settimana di luglio scorso a Porretta Terme, ho avuto l’onore di collaborare con Carlo Alberto Cavazzoni e Roberto Messa alla presentazione del loro ultimo lavoro: I segreti del Castello degli scacchi, edito da “Le due Torri”. Questo splendido libro, che consiglio vivamente a tutti i giovanissimi che vogliano progredire nel mondo degli scacchi, è l’ideale per la maggior diffusione degli scacchi scolastici, e pertanto lo consiglio anche agli istruttori italiani che tengono corsi nelle scuole.

Ma prima di parlare del libro voglio spendere due parole per l’amico Carlo Alberto Cavazzoni, conosciuto a Torino nel febbraio del 2009 al convegno mondiale “Gli scacchi un gioco per crescere”, dal quale ho tratto numerose ispirazioni anche per la mia didattica. Come molti sapranno la metodologia messa in scena (è proprio il caso di dirlo!) da Cavazzoni si fonda sull’intuizione che l’attenzione dei bambini debba essere catturata col linguaggio della fantasia e del sentimento, e quindi lo strumento privilegiato sia la fiaba, il racconto, l’elemento giocoso.

Carlo Alberto Cavazzoni, Carmelita Di Mauro e Sebastiano Paulesu a Torino.

Chi non lo ha mai visto all’opera provi a  immaginarlo, coi suoi divertentissimi numeri di magia comica; con i racconti esilaranti di anedotti storici (inventati) che spiegano con un’enfasi impareggiabile e indimenticabile le vicende degli scacchi; con i quiz “strampalati” con cui sfida la sua platea intrattenendola con un fare coinvolgente e giocando con essa, proponendo domande “impossibili” e distribuendo premi di consolazione!

Ma come già detto la vera arte di Carlo Alberto è la sua capacità di raccontare, che tiene incatenati i suoi interlocutori e li fa pendere dalle sue labbra, mentre scrutando le loro espressioni decide quale finale dare alle sue fiabe. Cavazzoni ha compreso appieno il ruolo formativo dell’Istruttore di scacchi, che mentre insegna i giovani a ragionare criticamente li esorta a ragionare di come la vita stessa ci ponga di fronte a situazioni complesse che meritano una meditazione approfondita. Così le sue fiabe parlano di lealtà sportiva (e indirettamente di responsabilità sociale), di rispetto del prossimo (e di riflesso di come opporsi al bullismo), di impegno per la ricerca delle soluzioni (e quindi di assunzione del proprio impegno nello studio e nel lavoro).

E veniamo al libro, scritto in collaborazione col Maestro Internazionale Roberto Messa e illustrato mirabilmente dall’artista Valerio Falcone, disegnatore steineriano che ha impreziosito non poco l’opera di cui stiamo parlando.  Ogni tappa del libro rappresenta una fase di conoscenza del gioco, dalla conoscenza del Regno degli scacchi sino agli esercizi più complessi che si troveranno nel corso del libro; e ogni tappa è sempre accompagnata dai racconti fiabeschi di Cavazzoni. Ce n’è persino uno il cui protagonista si chiama Sebastiano (in mio onore!) di cui prossimamente parlerò a parte proprio per una risposta di cui sono in debito con Carlo Alberto.

La forza pedagogica del libro è nella puntuale proposta, dopo ogni spiegazione, degli esercizi per verificare la comprensione delle istruzioni: la maggior parte di questi esercizi è innovativa rispetto alla tradizionale editoria specialistica: come quelli sul “Re fifone”, nei quali bisogna collocare nei diagrammi di matto il Re perdente, che un attimo primo del matto è scappato dalla scacchiera; gli “scacchi matti fantasma” nel quale invece bisogna collocare il pezzo (fantasma) che ha dato lo scacco matto al Re perdente;  il “Mago Scaccopazzo” che ha la prerogativa di far sparire dalla scacchiera qualsiasi pezzo per poter dare immediatamente scaccopazzo.

Il libro si completa con un fantastico glossario, dove si possono trovare le due seguenti definizioni:

Sconfitta: occasione per migliorarsi

Vittoria: occasione per non vantarsi.

 

 

 Scacchi nostri

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Lo splendido libro di  Rosa, come si fa confidenzialmente chiamare, raccoglie “concettualmente” (nel senso di “concept book”) una serie di racconti a tema scacchistico.

Già dal titolo si comprende subito che la struttura portante di questa agile antologia di racconti non è un’autocelebrazione del microcosmo (o macrocosmo?) delle 64 caselle: “Scacchi nostri” rimanda – neanche tanto velatamente – alla locuzione comune “cacchi nostri”, per indicare appunto una problematicità. Infatti in quasi tutti i racconti si narra di personaggi in bilico tra la ragione e la follia, tra la ricerca del successo scacchistico (a costo di rinunciare ad ogni altro aspetto della vita) e l’equilibrio delle relazioni sociali.

Personalmente frequento l’ambiente scacchistico da oltre vent’anni e credo di aver riconosciuto tutti i profili magistralmente descritti da Rosa: il “giocatore incallito” quasi affetto patologicamente da gambling; lo “scemo del villaggio” capace però di vivere in trance agonistica dei momenti di gloria sulla società (profilo peraltro ben delineato anche nel capolavoro di Nabokov “La difesa di Luzin”); lo scacchista frustrato dalla precarietà della sua situazione economica; il “misantropo”; il giovane posseduto dall’ossessione per gli scacchi; i “gitani” degli scacchi, che praticano un nomadismo fatto di continui tornei per assicurarsi una parte di montepremi; il campioncino che diventa fonte di reddito per la sua famiglia, ma che perde ogni relazione sociale e con essa la parte migliore dell’infanzia; i giocatori agonisti che si armano di una “volontà omicida” (come la chiamava Niegel Short e che faceva dire a Kasparov che “gli scacchi sono lo sport più violento che io conosca”); gli eterni “duellanti” pronti a sfidarsi quotidianamente per decenni giurandosi un cordiale “odio” agonistico…

Non mancano però neanche alcuni semi di ottimismo tra le righe scritte con un linguaggio chiaro e senza fronzoli da Rosa Damasco: ci sono le speranze riposte in un futuro migliore, soprattutto dei giovanissimi; c’è lo spazio per qualche bella favola (non moraleggiante); c’è il giudizio critico sugli eccessi che con la scrittura si vuole emendare; e c’è anche il gusto di riconoscere in se stessi qualche aspetto sensibile di diventare una mania… e quindi essere in tempo ad evitarlo!

I racconti mi sono piaciuti molto, perchè come dicevo sopra c’è molto di vero in queste descrizioni degli scacchisti, ed in un tempo in cui si propongono gli scacchi come terapia per il malessere tipico della vita contemporanea, dovuto a fenomeni di disgregazione del tessuto sociale, di esasperazione di alcuni valori (come il denaro, la fama, il successo…), dalla creazione di un mondo virtuale in cui trasferire le proprie passioni ed il proprio principio di piacere opposto – come insegnava Freud – al principio di realtà… in questo tempo è necessario anche un richiamo alla pericolosità degli scacchi vissuti come unica ragione di vita che fagocita tutte le energie dell’individuo facendogli perdere il contatto con la vita stessa.

Per concludere segnalo due belle recensioni che riguardano il libro: uno del sito “Soloscacchi”: http://soloscacchi.altervista.org/?p=1811; l’altro riguardante il n°11 della rivista “Scacchitalia” della Federazione Scachistica Italiana: http://www.federscacchi.it/str_reg.php?tipo=6 .