Giocare per migliorarsi

Scaccomatto all’Ego: 5 lezioni scomode degli scacchi per forgiare il carattere

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Introduzione: la partita più importante

Nella vita, ci troviamo spesso ad affrontare situazioni complesse che richiedono strategia, pianificazione e flessibilità. Come illustra la metafora degli scacchi, la vita assomiglia a una partita in cui ogni mossa ha delle conseguenze. È un esercizio continuo nel prendere decisioni oculate, tenendo conto sia delle nostre azioni che delle reazioni che potrebbero suscitare negli altri.

E se il vero scopo degli scacchi non fosse semplicemente vincere la partita sull’avversario, ma forgiare il proprio carattere? Se le vere lezioni non si nascondessero nei manuali di tattica, ma nelle vittorie e, soprattutto, nelle sconfitte contro noi stessi?

Le 64 caselle sono un campo di addestramento psicologico, uno specchio che riflette chi siamo e chi potremmo diventare. Ecco cinque delle lezioni psicologiche più sorprendenti e profonde che questo antico gioco ha da offrire.

1. Il tuo più grande avversario sei tu

L’idea controintuitiva alla base della vera maestria scacchistica non è sconfiggere chi siede di fronte a noi, ma conquistare noi stessi. Ogni partita diventa un’opportunità non per dimostrare superiorità, ma per misurare il proprio progresso interiore.

Come afferma Igor Smirnov nel suo libro “Champion Psychology“: “Non si tratta di conquistare gli altri, ma di conquistare te stesso: conquista le tue debolezze. Renditi migliore di come eri ieri.

Questo concetto trasforma radicalmente l’obiettivo del gioco. Ogni partita, indipendentemente dal risultato, è un’occasione per affinare la concentrazione, gestire l’ansia, rafforzare la disciplina e superare i propri limiti mentali. Il vero successo non si misura in punti Elo, ma nei progressi compiuti sul sentiero del miglioramento personale. La vittoria, quindi, non è più l’obiettivo, ma il sintomo di un lavoro interiore ben fatto.

2. La sconfitta è il tuo migliore allenatore

E lo strumento più potente che questo avversario interiore usa contro di te non è la minaccia della sconfitta, ma la sconfitta stessa. Eppure, è proprio qui che si nasconde l’allenamento più profondo. Perdere è doloroso. La maggior parte delle persone fa di tutto per evitare la sconfitta. Negli scacchi, invece, confrontarsi con il fallimento è il motore primario della crescita.

Josh Waitzkin, nel suo libro “The Art of Learning”, descrive questo processo come un “investimento nella sconfitta“: un atto brutale ma necessario che richiede di mettere da parte il proprio ego per poter imparare. Significa cercare attivamente le proprie debolezze, analizzarle e trasformarle in punti di forza. William Stewart, in “Chess Psychology: The Will to Win“, sottolinea l’importanza di analizzare onestamente le sconfitte più dolorose per capire cosa è andato storto.

Questo approccio è possibile solo cambiando la propria percezione del fallimento. Come spiegato in “New Chess Psychology“, il segreto è riformulare la sconfitta come “feedback”. Questa mentalità rimuove l’ego dall’equazione, trasformando ogni risultato, positivo o negativo, in una preziosa opportunità di apprendimento. Riduce la dinamica di “lotta o fuga” associata alla paura di fallire e ci permette di rimanere obiettivi e concentrati sul processo di miglioramento.

3. La scacchiera è uno specchio

Una volta accettata la sconfitta come strumento di crescita, la scacchiera si trasforma da campo di battaglia a specchio. Lo stile di gioco di una persona è un riflesso diretto della sua personalità e della sua mentalità competitiva. La scacchiera non mente; rivela le nostre tendenze più profonde, le nostre paure e i nostri punti di forza caratteriali.

Un’osservazione tratta da “The TAO of chess“, di Peter Kurzdorfer ,cattura perfettamente questa idea:

Il modo in cui un uomo gioca a scacchi dimostra la sua intera natura.” (che riecheggia la frase di Dostoevsky: se vuoi conoscere meglio un uomo fallo giocare).

Un esempio illuminante è quello del Campione del Mondo Tigran Petrosian. Come dettagliato in “Analyzing the Chess Mind“, scritto da  Boris Gulko e Dr. Joel R. Sneed, Petrosian fu un’eccezione tra i campioni per la sua cronica mancanza di fiducia in se stesso, un tratto psicologico che si traduceva direttamente nelle sue mosse. Il suo stile era eccessivamente cauto, portato a sabotare brillanti concezioni strategiche per paura del rischio. Questa debolezza divenne drammaticamente evidente durante il suo match dei candidati contro Bobby Fischer, che aveva appena annientato due dei più forti giocatori del mondo con un punteggio complessivo di 12-0. Di fronte a un simile avversario, Petrosian era, nelle parole degli analisti, “semplicemente spaventato da Fischer”. Questo contrastava nettamente con la psicologia di altri grandi, come Boris Spassky, che pur perdendo il titolo contro Fischer, non ne ebbe mai paura.

Pensa alle tue partite. Cosa rivelano di te? Sei aggressivo e propenso al rischio, o cauto e metodico? Sei tenace sotto pressione o tendi a crollare? La scacchiera è uno specchio onesto che, se interrogato, può rivelare molto su chi sei.

4. La vera maestria è relazione, non memoria

Se la scacchiera riflette la nostra psicologia, la vera maestria non può essere un semplice atto di memorizzazione. Nell’era dei computer, è facile credere che il gioco moderno sia solo una questione di imparare a memoria infinite varianti di apertura. Questa è un’illusione. La vera comprensione non deriva dall’apprendimento mnemonico, ma dallo sviluppo di una relazione profonda con il gioco.

Come suggerisce Angus Dunnington, apprezzare il carattere di un’apertura è molto più importante che memorizzare le sue varianti. I giocatori più forti non vedono una collezione di pezzi, ma schemi, “blocchi” di informazioni e relazioni dinamiche. Questa capacità, come spiega Josh Waitzkin, non è il risultato di un apprendimento meccanico, ma di un’intuizione affinata attraverso lo studio delle “sfumature”.

Questo è fondamentale perché ci insegna che la maestria, negli scacchi come nella vita, non consiste nel conoscere le regole, ma nel comprendere le ragioni dietro le regole. È il passaggio dalla conoscenza alla saggezza: non basta conoscere le regole del gioco, bisogna sentirne l’anima.

5. La battaglia non è sulla scacchiera, ma nella tua mente

Comprendere l’anima del gioco significa accettare che, lungi dall’essere un puzzle sterile e puramente logico, una partita a scacchi è un’intensa lotta psicologica. È un duello di volontà, resilienza e tenuta mentale. Josh Waitzkin lo descrive magnificamente: “Gli scacchi competitivi non riguardano la perfezione. Sono più simili a un incontro di pugilato mentale, con due avversari che si scambiano vantaggi, con l’inerzia che va da una parte e poi dall’altra.”

Il campo di battaglia principale è il nostro “dialogo interiore”. Come evidenziato in “Mental Toughness in Chess” di Werner Schweitzer, le frasi e le immagini che formuliamo nella nostra mente hanno un impatto enorme sulla nostra performance. Un dialogo interno negativo può sabotare anche la preparazione più meticolosa.

La battaglia, inoltre, inizia molto prima della prima mossa. La preparazione non è solo teorica. Angus Dunnington, in “Chess Psychology“, racconta un aneddoto memorabile. Da giovane giocatore, gli bastava una patta nell’ultimo turno per ottenere la sua norma di Maestro Internazionale. La partita era alle 8 del mattino. Convinto che alterare il suo ritmo di “vacanza” sarebbe stato controproducente, decise di passare la notte in bianco. Poco prima del turno, scoprì di essere stato abbinato non contro un giocatore di livello inferiore, come sperava, ma contro un forte Maestro Internazionale. Si sedette alla scacchiera “fisicamente esausto, psicologicamente battuto e totalmente impreparato”. Fu salvato solo dal fatto che il suo avversario, che a sua volta aveva passato la notte fuori, gli offrì la patta dopo una lunga riflessione, senza nemmeno essersi accorto che Dunnington gliel’aveva proposta 45 minuti prima.

Questa non è una lezione sulla gestione del tempo, ma sul rispetto per la battaglia che precede la battaglia. La mente non può combattere se il corpo l’ha già tradita.

Conclusione: la prossima mossa è tua

Gli scacchi sono molto più di un gioco. Sono uno strumento per la conquista di sé, un insegnante che opera attraverso il fallimento, uno specchio per l’anima, un percorso verso l’intuizione e un campo di battaglia mentale.

Il valore ultimo del gioco non risiede nei punti Elo o nei trofei, ma nel carattere, nella resilienza e nella consapevolezza di sé che aiuta a costruire.

Quindi, la prossima volta che ti siedi davanti alla scacchiera, a cosa giocherai: a vincere una partita o a costruire una versione migliore di te stesso?

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