Scacchi in carcere.
Durante queste vacanze, libero dagli impegni scolastici, ho un po’ trascurato il blog ma non certo per mancanza di argomenti. Una delle cose più interessanti che sto realizzando in quest’ultimo periodo è l’esperienza di insegnare gli scacchi ai detenuti di un carcere della mia provincia. L’idea nacque molti anni fa (circa venti per la precisione) e fu anche realizzata in parte ma non da me personalmente. Così lo scorso anno, con l’aiuto del comitato provinciale dell’ARCI, abbiamo proposto un progetto a titolo volontario che coinvolgesse una quindicina di detenuti.
Dopo varie lungaggini di ordine burocratico, a metà luglio ho iniziato questa “avventura” che mi vede impegnato per due ore settimanali sino a settembre prossimo. Ovviamente non posso descrivere dettagliatamente questi incontri ma mi piace tuttavia raccontare alcune mie impressioni e considerazioni.
Tralascio la descrizione del mio stato d’animo nel varcare per la prima volta le porte di una prigione, accompagnato da una gentilissima guardia penitenziaria; tralascio anche la descrizione degli sguardi indagatori dei carcerati tra le sbarre al mio passaggio e tutta la retorica che si potrebbe fare in questi casi.
Ciò di cui voglio parlare è l’esperienza umana che ne sto traendo, interpretando sotto una diversa luce anche alcuni aspetti della didattica scacchistica. Durante questi primi incontri ho avuto modo di conoscere diversi gruppi di detenuti, la maggioranza dei quali è di origine straniera; la maggior parte di loro sono molto interessati al gioco degli scacchi, alcuni conoscevano già le regole dei movimenti dei pezzi, altri hanno imparato da zero.
In nessuno di questi incontri mi sono permesso di far loro un “pistolotto” iniziale sul rispetto delle regole, ma devo dire che non ce n’è stato neppure bisogno: la maggior parte di loro dimostra una disciplina e una correttezza che dovrebbero stupire l’immaginario comune (io per esempio ne sono rimasto abbastanza colpito). L’importanza di un corso di scacchi in carcere, oltre a dare una grande occasione per occupare il tanto tempo “libero” a disposizione, è proprio quello di riflettere sulla natura degli errori: in fondo la loro presenza in carcere è il risultato di qualche errore (di essi verso la società o della società verso di loro…)
Naturalmente non mi sogno nemmeno di fare il moralizzatore e se la confidenza non nasce da loro stessi non faccio neppure domande sulla loro pena detentiva. Dopo una ventina di minuti di istruzioni distribuisco loro le scacchiere messe a disposizione dagli educatori del carcere e li osservo e consiglio mentre giocano, evitando di favorire l’uno o l’altro. Contemporaneamente osservo discretamente anche gli altri detenuti che, durante l’ora d’aria, non partecipano al corso ma fanno altre attività (come giocare a carte, biliardino o ping pong).
Una cosa che i primi giorni mi aveva meravigliato è la predilezione della maggior parte dei detenuti a camminare avanti e indietro ininterrotamente per tutto il tempo, nei venti metri dello spazio a disposizione. Ho compreso quanto dev’essere importante – restando rinchiusi tanto tempo in cella – potersi muovere e ridare attività al loro corpo. Insomma, lo spazio, il tempo, l’iniziativa restano sempre le cose più importanti, così come tra i limiti di una scacchiera anche nelle condizioni di limitazione degli spazi personali.
Prossimamente parlerò dei loro progressi nell’apprendimento delle strategie del gioco e del loro impegno a migliorarsi.
Ciao Sebastiano .
Decisamente un impresa non facile .pero le difficolta temprano lo
spirito ,e senza dubbio questa esperienza ai detenuti sara di grande
aiuto per lo spazio del immaginario .
Conosci lo scrittore Arthur Koestler ? Nel libro che si chiama : le
Zero et l’infini, cioe il numero zero e l’infinito ,racconta di un
prigioniero politico in russia in una cella senza luce che resiste alla
follia immaginandosi delle partite di scacchi.
tanti saluti e auguri !
Michelle
Ciao Michelle e grazie per le tue parole! Non conosco Koestler, ma il tema che descrivi è stato utilizzato in letteratura da molti altri (a mio avviso il migliore è Stefan Zweig ne “La novella degli scacchi” ).
Anche io sono persuaso che l’esperienza sarà ricchissima per i detenuti e a conferma di questa mia impressione posso dirti che molti di loro hanno già fatto domanda alla direzione del carcere di poter avere una scacchiera in cella!
Buongiorno,
l’uso che fai degli scacchi come strumento didattico, pedagogico, di miglioramento sociale è molto affine allo spirito con cui sto cercando di allargare il mio circolo scacchistico (sono aspirante istruttore).
Potremmo scambiarci il link del blog? Ovviamente continuerò a seguirti comunque…
Andrea Rossi
Fatto!
Auguri per le vostre iniziative, anche io vi seguirò!
Sebastiano
cosec va bene: certezza pena e paciirepaztone attiva e sincera dei detenuti per il proprio recupero. Ed in questo contesto un particolare occhio attento e di riguardo ai loro bambini in particolare, per essere inevitabilmente coinvolti in drammi verso cui non hanno responsabilite0. Direi meritino una attenzione doppia.brunosaetta