Archivio di Ottobre 2025
Vincere quando non c’è “niente da fare”

Introduzione: la strategia nel silenzio della scacchiera
“La tattica è sapere che cosa fare quando c’è qualcosa da fare e la strategia è sapere che cosa fare quando non c’è niente da fare”. Questa definizione di Xavier Tartakower cattura l’essenza delle fasi più tranquille della partita, ed è particolarmente vera nei finali di pedoni. Quando i pezzi più potenti hanno lasciato la scacchiera, la vittoria non dipende più da combinazioni spettacolari, ma da sottigliezze posizionali che richiedono una comprensione profonda e una pazienza strategica.
In questo silenzio apparente, emerge un’arma tanto invisibile quanto letale: il “tempo di riserva” del pedone. Si tratta di una delle risorse strategiche più raffinate e decisive in questa fase del gioco, spesso il fattore che, in una posizione apparentemente pari, inclina l’ago della bilancia verso la vittoria o la sconfitta.
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1. Definire l’indefinibile: il tempo di riserva e lo zugzwang
Per padroneggiare questa tecnica, è essenziale comprendere due concetti strettamente collegati: il tempo di riserva e la sua conseguenza più temuta, lo zugzwang.
1.1 Il “Tempo di riserva” del pedone
Nel suo manuale “Chess Endgame Training“, Bernd Rosen descrive il tempo di riserva come una mossa di pedone tenuta “in serbo” per essere utilizzata in un momento critico. Il suo scopo è cedere il tratto all’avversario senza peggiorare la propria posizione. A differenza dei pezzi, che possono muoversi avanti e indietro, le mosse di pedone sono irreversibili. Ogni spinta è una decisione strategica cruciale che consuma una risorsa finita. Avere un tempo di riserva significa possedere un’opzione in più rispetto all’avversario, una mossa “d’attesa” che può essere giocata quando qualsiasi altra mossa rovinerebbe la propria struttura. Il punto chiave da ricordare è che conservare un tempo di riserva è un atto di pazienza strategica.
1.2 La conseguenza: lo zugzwang
L’obiettivo finale dell’utilizzo di un tempo di riserva è mettere l’avversario in zugzwang. Il grande teorico Mark Dvoretsky, nel suo “Endgame Manual“, definisce questo concetto in modo lapidario: “Zugzwang is a situation in which each possible move worsens one’s position.” (Lo zugzwang è una situazione in cui ogni mossa possibile peggiora la propria posizione). Quando un giocatore è in zugzwang, è obbligato a muovere, ma ogni sua mossa legale porta a un deterioramento decisivo della sua posizione, consegnando di fatto la partita all’avversario.
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2. La teoria in pratica: un esempio didattico fondamentale
Per illustrare come un tempo di riserva possa decidere una partita, analizziamo un esempio teorico illuminante tratto dal già citato “Chess Endgame Training” di Bernd Rosen.

In questa posizione, uno studio di Grigoriev, il piano del Bianco è chiaro e istruttivo:
- Fissare la struttura pedonale del Nero sull’ala di re.
- Conservare le mosse del pedone ‘f’ come tempi di riserva.
- Utilizzare questi tempi al momento opportuno per vincere l’opposizione e penetrare con il Re.
Osservate attentamente come si sviluppa il piano:
- … Re6
- Rf4 Rf6
- h4!
Il Bianco fissa i pedoni neri, impedendo loro di creare controgioco. Ora il Nero non ha mosse di pedone utili e deve muovere solo il Re.
- … Rg7
- Rg5 Rg8
- f3!
Ecco il primo tempo di riserva. Un giocatore impaziente potrebbe tentare di muovere subito il Re, ma ciò cederebbe l’opposizione e vanificherebbe il vantaggio. f3! è una mossa di pazienza che trasferisce la pressione sul Nero, cedendogli la mossa senza peggiorare la propria posizione e, anzi, aprendo la strada al proprio Re verso la sesta traversa.
- … Rf8
- Rh6 Rf7
- f4!
Il secondo e decisivo tempo di riserva. Il Nero è ora in Zugzwang. È costretto a muovere il Re, ma qualsiasi sua mossa permetterà al Re bianco di vincere l’opposizione e decidere la partita.
- … Rf8
- Rh7 Rf7
- Kg8 +-
Il Nero è costretto a cedere il passo e il Bianco invade la posizione, vincendo. Questo semplice esempio dimostra la potenza devastante di una singola mossa di pedone tenuta in serbo per il momento giusto. Memorizzate questa manovra: è un’arma fondamentale nel vostro arsenale di finalista.
Conclusione: l’importanza della pazienza e della pratica
Come abbiamo visto, i tempi di riserva dei pedoni sono un’arma strategica formidabile, capace di trasformare posizioni apparentemente equilibrate in vittorie forzate. Padroneggiare questa tecnica richiede una profonda comprensione della strategia dei finali e, soprattutto, una grande pazienza.
L’unico modo per affinare questa abilità è attraverso l’esercizio. I finali richiedono pratica costante. Non scoraggiatevi se questi concetti sembrano difficili. Nessun grande giocatore è nato maestro di finali. La pazienza che dedicate allo studio di queste posizioni vi ripagherà cento volte sulla scacchiera. Il mio consiglio è quello di dedicare tempo a risolvere problemi di finali, studiando posizioni teoriche e analizzando partite magistrali. Solo così si può sviluppare l’intuizione necessaria per riconoscere e sfruttare queste sottigliezze strategiche, trasformando il silenzio della scacchiera in un’eloquente sinfonia di vittoria.
Sulle spalle dei giganti.

1. Introduzione
Nel percorso di ogni scacchista arriva un momento in cui i progressi rallentano e la domanda sorge spontanea: come superare questo stallo? La risposta più potente, spesso sottovalutata, non risiede certo nella memorizzazione di infinite varianti di apertura che raramente si verificano sulla scacchiera. Uno dei metodi di studio più efficaci e profondi consiste invece nell’analizzare le partite giocate e commentate dai grandi maestri del passato e del presente. Questo approccio ci permette di salire “Sulle spalle dei giganti” (Per citare il titolo di un grande classico di Mikhail Marin) e di assorbire i principi strategici che governano il gioco a un livello che la semplice teoria non può raggiungere.
2. Oltre la singola mossa: assorbire strategia e intuizione
Il vero valore dello studio delle partite dei campioni non risiede nel copiare le loro mosse, ma nel comprendere il perché di tali mosse. Analizzare una partita di un Grande Maestro significa entrare nella sua mente, seguire il suo filo logico e capire come valuta la posizione, come formula un piano e come reagisce alle idee dell’avversario. Questo processo non arricchisce solo la conoscenza teorica, ma sviluppa un “senso” per la posizione, un’intuizione scacchistica che guida le decisioni anche in situazioni non familiari.
L’analisi di partite modello, ad esempio quelle di Bobby Fischer, insegna l’importanza di migliorare pazientemente la propria posizione prima di lanciare un attacco decisivo. Come evidenziato in World Chess Champion Strategy Training for Club Players, Fischer era un maestro nel trasformare un piccolo vantaggio in una vittoria senza concedere al suo avversario la minima possibilità.
3. Costruire una biblioteca mentale di schemi e idee
Ogni partita di un campione che viene analizzata in profondità aggiunge un nuovo volume alla nostra “biblioteca mentale”. Questa metafora descrive perfettamente il processo di apprendimento: non stiamo imparando singole mosse, ma interi schemi strategici, tattici e di finale. Quando ci troveremo in una posizione simile durante una nostra partita, il nostro cervello sarà in grado di recuperare l’idea corretta da questa biblioteca, riconoscendo un’opportunità che altrimenti sarebbe passata inosservata.
Questo riconoscimento di schemi (pattern) diventa particolarmente cruciale nei finali. Molte partite a livello di club vengono decise da una valutazione errata del finale imminente. Sapere in anticipo se una certa semplificazione porta a una posizione vinta o patta è un vantaggio inestimabile. (“How great it is for a practical player to know whether the ending you are about to liquidate into is a win or not!” – Herman Grooten, Chess Endgames for Club Players)
Questa conoscenza pratica dei finali non è un’abilità isolata; è una manifestazione della comprensione delle “Leggi Nascoste degli Scacchi” (The Hidden Laws of Chess). Sapere che un finale è vinto, infatti, deriva da un profondo giudizio posizionale che trascende il calcolo immediato. In definitiva, questo studio ci aiuta a comprendere quei principi profondi che guidano i grandi giocatori verso un giudizio corretto della posizione e, di conseguenza, verso le mosse migliori.
4. Una lezione fondamentale: la pazienza
Una delle qualità che più spesso manca ai giocatori di club è la pazienza. L’impulso di attaccare prematuramente o di cercare una combinazione decisiva dove non esiste è una causa comune di sconfitta. Lo studio delle partite dei grandi maestri è l’antidoto a questa fretta: ci insegna che la pazienza non è passività, ma preparazione mirata. Impariamo il valore della profilassi—il prevenire i piani dell’avversario prima che si materializzino—e della costruzione graduale di un vantaggio. I campioni raramente si affrettano; piuttosto, come abili costruttori, accumulano piccoli vantaggi finché la posizione dell’avversario non crolla sotto il proprio peso, senza un singolo colpo appariscente.
Consiglio: La mancanza di pazienza è probabilmente la causa più comune di una sconfitta, o di una patta in partite che avrebbero dovuto essere vinte. – GM Bent Larsen (da Improve Your Middlegame Play)
5. La propria Storia
Per uno scacchista italiano, lo studio della storia ha anche il valore aggiunto di riscoprire le proprie radici. La rubrica “Gli italiani contro i top del mondo” sulla rivista Scacchitalia ha avuto proprio lo scopo di: “arricchire la conoscenza storica del nostro movimento“.
Rievocare non solo la patta di Sacconi contro Alekhine, la vittoria di Tatai contro Larsen o quella di Zichichi contro Spassky, ma anche le vittorie di Rosselli Del Turco contro Tarrasch, quella di Castaldi su Reshevsky, o le patte di Calapso con Petrosian, di Godena contro Shirov e Ponomariov, e di Arlandi con Gelfand, non è un mero esercizio di celebrazione. È un modo per ricollegarsi a una tradizione nazionale e comprendere meglio la ricchezza storica del nostro percorso scacchistico.
6. Conclusione: da dove iniziare?
Iniziare è semplice. Scegli un campione il cui stile ti affascina: potrebbe essere José Raúl Capablanca per la sua tecnica cristallina nei finali, Mikhail Tal per i suoi attacchi geniali e i suoi sacrifici, o Anatoly Karpov per la sua maestria nella profilassi e nel gioco posizionale. Procurati una raccolta delle sue migliori partite commentate e inizia a studiarle, una alla volta, senza fretta. Cerca di capire il piano dietro ogni mossa, mettendoti nei panni del campione. La chiave, come in ogni disciplina, è la costanza. Dedica un po’ di tempo ogni settimana a questo tipo di studio, e i risultati non tarderanno ad arrivare. Lavorando in modo sistematico con il materiale giusto, come insegna il maestro Vladimir Popov, il progresso è garantito. Ogni partita studiata non è solo una lezione, ma un dialogo con un campione: un passo in più sulle spalle di un gigante, verso una visione più chiara della scacchiera.
Il vantaggio negli scacchi: usalo o perdilo – il principio di Steinitz

Introduzione: l’effimera natura del vantaggio
Negli scacchi, esistono diversi tipi di vantaggio. Un vantaggio materiale, come avere un pezzo in più, è concreto e spesso duraturo. Tuttavia, vantaggi più sottili come l’iniziativa o una superiorità posizionale sono di natura diversa. Questi vantaggi sono dinamici e, per loro stessa natura, temporanei. Non puoi semplicemente “conservarli” in attesa del momento giusto.
Questa realtà strategica è alla base di uno dei concetti più importanti degli scacchi, formalizzato dal primo campione del mondo ufficiale, Wilhelm Steinitz, e oggi noto come il suo “principio“: un vantaggio deve essere sfruttato attivamente con mosse energiche e minacce concrete. Se un giocatore con un vantaggio di posizione o di iniziativa gioca in modo passivo, quel vantaggio è destinato a svanire. In breve: usalo o perdilo.
1. Che cos’è l’Iniziativa? Più importante del materiale
L’iniziativa è la capacità di creare minacce che costringono l’avversario a mettersi sulla difensiva, reagendo alle tue mosse invece di portare avanti i propri piani. Avere l’iniziativa significa dettare il corso del gioco.
Nel loro libro Find the Right Plan, Anatoly Karpov e Aleksandr Matsukevich espongono un principio fondamentale: “Nelle posizioni migliori — con un vantaggio di sviluppo — dovresti cercare di impedire al tuo avversario di completare la mobilitazione delle sue forze. Per raggiungere questo obiettivo dovresti scegliere, quando se ne presenta l’opportunità, mosse che presentano minacce concrete, costringendo il tuo avversario a sprecare tempo ed energia per deviarle.”
L’importanza di questo concetto non può essere sottovalutata. Come affermato da Victor Bologan nel suo libro Making My Move: “In una lotta tattica acuta su tutta la scacchiera, l’iniziativa è spesso più importante del materiale.”
2. Ottenere l’Iniziativa tramite il sacrificio: la lezione dei gambetti
I gambetti sono l’esempio più chiaro di come il sacrificio di materiale possa essere un investimento strategico per ottenere un vantaggio dinamico. Cedendo un pedone (o più di uno) nelle prime fasi della partita, un giocatore può accelerare il proprio sviluppo e conquistare l’iniziativa.
Yakov Estrin, nel suo libro Gambits, sottolinea questo punto: “Solo giocando i gambetti lo scacchista inizierà a capire che ottenere posizioni attive, con la possibilità di sferrare colpi combinativi, lo compenserà per il materiale sacrificato“.
Un esempio classico è la partita Estrin-Zlatkin, 1938:
1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ac4 Ac5 4. c3 Cf6 5. d4 exd4 6. cxd4 Ab4+
Qui, invece della mossa più tranquilla 7. Ad2, il Bianco sceglie di sacrificare un pedone.
7. Cc3!? Cxe4 8. 0-0 Axc3 9. d5!
Commentando la mossa 7. Cc3!?, Estrin spiega: “Con la mossa del testo, il Bianco sacrifica il suo pedone centrale per il gusto dell’iniziativa.” Con 9. d5!, il Bianco non solo attacca il cavallo in c6, ma apre anche la diagonale per l’alfiere camposcuro e intensifica la pressione, dimostrando come l’iniziativa ottenuta dal gambetto venga immediatamente convertita in minacce concrete.
3. Sfruttare il vantaggio: dalla posizione all’attacco
Mentre i gambetti rappresentano un modo diretto per “acquistare” l’iniziativa, un vantaggio posizionale ottenuto tramite uno sviluppo superiore o un maggiore controllo dello spazio deve essere convertito in modo altrettanto energico. Se questo vantaggio non viene convertito in minacce concrete, rimane sterile e rischia di evaporare.
La partita Furman-Klovan (Mosca, 1964), analizzata nel già citato Find the Right Plan, è un esempio magistrale di questa trasformazione.

Dopo la diciottesima mossa del Nero (18… Dg5), la situazione è tesa. Il commento al diagramma è eloquente: “Il Nero ha chiaramente superato il suo avversario creando minacce.” Con la donna in g5 e l’alfiere in h4, il Nero minaccia di sfondare sul lato di re, costringendo il Bianco a risposte difensive precise che consumano tempo ed energie. Il Nero non si è accontentato di una posizione “buona”, ma ha iniziato a creare problemi attivi. L’analisi prosegue notando che anche dopo la migliore risposta del Bianco, 20. f3, “il Nero mantiene l’iniziativa con 20… Ah3!”.
Nella partita Botvinnik-Bronstein, commentata in CJS Purdy’s Fine Art of Annotation, vediamo un altro momento critico. Dopo la quattordicesima mossa del Nero, “il Bianco ha deciso di offrire di nuovo un pedone per riguadagnare l’iniziativa.” Botvinnik capì che il vantaggio del Nero si stava consolidando e agì con energia. Un fattore decisivo, sottovalutato dal Nero, fu la sua incapacità di arroccare, una debolezza posizionale che il Bianco trasformò in un bersaglio concreto.
4. Il pericolo della passività: quando il vantaggio sfuma
Il corollario del principio di Steinitz è che la passività è il modo più rapido per perdere un vantaggio. Quando è il momento di agire, esitare o scegliere mosse tranquille può cedere l’iniziativa all’avversario, permettendogli di risolvere i suoi problemi e consolidare la posizione.
Nel suo libro Starting Out The Grunfeld Defence, Jacob Aagaard analizza una posizione in cui il Bianco ha un leggero vantaggio ma rischia di perderlo. Il suo commento è un monito: “Invece il Bianco dovrebbe essere più aggressivo e cercare di mantenere l’iniziativa.” Questa osservazione cattura un momento critico in cui un giocatore deve scegliere tra una mossa passiva che dissipa il vantaggio e una energica che lo alimenta.
Allo stesso modo, un commento in CJS Purdy’s Fine Art of Annotation descrive una particolare mossa come “L’errore iniziale che cede l’iniziativa“, a dimostrazione di quanto velocemente un’opportunità strategica possa essere sprecata con una sola decisione errata.
Conclusione: agire è la chiave
Il principio di Steinitz non è solo una regola, ma una mentalità strategica che separa i giocatori forti da quelli che non riescono a concretizzare le loro posizioni favorevoli. L’essenza di questo principio può essere riassunta in pochi punti chiave:
- L’iniziativa è un vantaggio dinamico: Non è una risorsa statica, ma la capacità di forzare l’avversario a reagire costantemente alle tue minacce.
- Non essere passivo: Un vantaggio posizionale non sfruttato è un vantaggio perso. Devi costantemente cercare modi per creare problemi al tuo avversario.
- Converti il vantaggio: Trasforma concetti astratti come un migliore sviluppo, più spazio o una struttura pedonale superiore in attacchi concreti, minacce tattiche e dilemmi irrisolvibili per il tuo avversario.
In definitiva, la lezione è chiara: quando hai un vantaggio, devi attaccare. Se non lo fai, non solo rischi di perderlo, ma dai al tuo avversario l’opportunità di prenderlo per sé.