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Prove di “brainstorming”.

Ispirato dalla lettura del libro di Giangiuseppe Pili “Un mistero in bianco e nero” ieri pomeriggio ho voluto provare un nuovo tipo di lezione che chiamerò “brainstorming”. Partendo da un’intuizione che la conoscenza si possa scomporre fino a trovare gli atomi (cioé, etimologicamente, parti non ulteriormente divisibili), che Giangiuseppe Pili ha postulato essere la singola casella. Questa nozione statica della casella come unità del complesso edificio degli scacchi risente però di poca considerazione degli aspetti dinamici (ciò che i pezzi possono fare nella suddetta casella…).
Così, coi bambini della quarta primaria della maestra Michela Carboni, abbiamo fatto una chiacchierata partendo dalla seguente domanda: “Quante azioni si possono fare su una casa?” Ai loro sguardi perplessi ho aggiunto, mettendo un pedone sulla casa E6: “Per esempio si può occupare, con un pezzo o pedone, oppure quando lo si muove la si può liberare…”
E’ bastato questo primo esempio per dare il via ad un fuoco di fila di risposte, senza alcuna forzatura da parte mia che ho svolto solo il ruolo di ordinare le loro idee chiedendo di volta in volta di esprimere al meglio le loro proposte; quando un bambino definiva chiaramente un concetto già noto alla letteratura scacchistica allora io lo traducevo nel relativo termine specialistico.

La lavagna del brainstorming.

Una delle prime idee (Davide) è stata “avanzare” (perché sulla casa e6 avevo posto un pedone, ma nel caso del pezzo l’idea si moltiplica in proporzione: per es. la Donna, il Re e il Cavallo possono muovere in 8 direzioni diverse; l’Alfiere e la Torre in 4). Poi è stato notato (Nicolò) che il pedone può “controllare“;  da cui si è dedotto che può “difendere” (Angelo) e “attaccare” (Gavino); Ottavio ha notato che il pedone si può “bloccare” (ha usato proprio questa parola!);   Giorgia ha aggiunto che ci si può “ritirare“, intendendo che si può ripiegare su di essa in seguito ad un attacco; Sara ha a questo punto affermato che una casa si possa “abbandonare”, termine che ho trascritto come “concedere” sottolineando la cessione all’avvarserario; Antonio ha detto che si può “scappare“, intendendo che diventi nascondiglio (la cosiddetta “casa di fuga”);  a questo punto Niccolò ha affermato che si può “infierire” e alla mia maggiore richiesta di spiegazioni Ottavio ha interpretato (giustamente come ha riconosciuto Nicolò) che forse intendeva dire “interferire“, cioé ostruire più linee che passano per tale casella (ancora una volta restavo basito di questo esercizio maiuetico!). Ho quindi invitato ognuno di loro a proporre nuove idee, perché non sapevo neanche io cosa stavamo cercando quindi ognuno di loro poteva trovare un’idea originale! I bambini non avevano bisogno delle mie esortazioni perché questa “esplorazione” li stava davvero divertendo. Così Manuel ha proposto “superare” e ad una mia richiesta di far chiarezza è emerso il concetto di “rinforzare“, inteso come disporre a controllo di quella casa più forze di quelle che può disporre l’avversario; Alessandro ha proposto “contrattaccare“;  “Maria Grazia” ha avanzato la proposta “individuare“, che ha poi spiegato come un traguardo da raggiungere (la casa focale?); Fabrizio ha aggiunto “ordinare“, intendendo la casa come un passaggio in cui i pezzi devono passare in un certo ordine (ma noi scacchisti sappiamo che le case possano essere ordinate e anche “coordinate”, vedasi la teoria delle case “combinate”); Davide ha proposto “imprigionare“,  e al mio invito a spiegarsi meglio ha chiarito “circondare la casa tutto intorno, come quando si fa matto al Re!”; Angelo ha proposto “comandare” e dopo qualche chiarimento siamo arrivati al concetto di “dominare“; Alexia ha trovato l’idea di “semplificare” (cioé rendere più chiara la posizione attraverso gli scambi!). La cosa incredibile è che io so che, nonostante vedo questi bambini già da quattro anni non hanno le competenze tecniche per conoscere questi concetti. La ricerca è continuata con la proposta di Manuel, “confondere”, che dopo gli opportuni chiarimenti è diventata “ingombrare“; un’altra proposta di Ilaria, “rallentare”, dopo un po’ di approfondimento ha suggerito l’idea di “temporeggiare” (che ha in nuce sia il concetto di triangolazione, sia quello di zugzwang, sia quello di mossa di attesa!); Sara e Gavino hanno poi proposto “passeggiare”, dal quale si è giunti al concetto di “transitare”  cioé utilizzare la casa come smistamento da un’origine ad una diversa destinazione; Laura ha poi avanzato l’idea di “contare” che la maestra ha interpretato come “pianificare” le diverse opzioni; da cui poi sono arrivate altre idee, come sdoppiare o  “doppiare” (cioé fare un doppio attacco o un doppio piano a partire da una determinata casa) e persino l’idea di “avamposto” (proposta da me su una definizione articolata di Alessandro di “attaccare indisturbati”).

Incredibilmente, dopo un’occhiata all’orologio ci siamo resi conto che non sarebbe più bastato il tempo per giocare a scacchi (il momento più atteso dai bambini) essendo già trascorsi tre quarti d’ora (e la fase di brainstorming non si poteva certo considerare conclusa!), e allora Ilaria mi ha portato un suo componimento in tre pagine scritto utilizzando le parole trascritte alla lavagna; e a ruota pure Nicolò e Gavino mi hanno portato i loro lavori. Ho già parlato della loro partecipazione al gioco con le rime, e la maestra mi conferma che spesso vogliono mettere in rima anche il lavoro scolastico svolto negli altri giorni della settimana. Ripropongo l’incipit della filastrocca di Ilaria.

La poesia di Ilaria, in tempo reale!

 

 

 

 

La gestione dei conflitti.

Illustrazione di Francis Manfredi

Il gioco degli scacchi, tra le altre cose, può essere anche un grande strumento per accompagnare i bambini (ma anche gli adulti) ad una migliore gestione dei conflitti. Spesso accade infatti che la loro naturale litigiosità venga innescata da futili motivi, per i quali comunque c’è solitamente una norma di regolamento. Le liti più comuni sono infatti la scelta del colore (ed esiste innanzi tutto il sorteggio e poi l’alternanza); le mosse irregolari (ed il regolamento ne consente solo 3); la cattiva abitudine di toccare i pezzi o di ritirare le mosse già eseguite (e anche qui vale la regola “Pezzo toccato, pezzo mosso; pezzo lasciato pezzo giocato”, che io ho sintetizzato nel mio proverbio: “Pensare, toccare e giocare: e non si può ritirare”). Altre volte i bambini si lamentano che l’avversario disturba, oppure – una volta in vantaggio – prende in giro.

Nonostante le regole ed il buon senso che l’istruttore può mettere in atto in questi casi spesso la conflittualità rimane come una nuvola sopra i due compagni di gioco e non è raro il caso in cui uno dei due – offeso – preferisca abbandonare le partita per non avere a che fare con l’altro. Ecco, ritengo che questi momenti siano molto più importanti di qualsiasi lezione teorica sulle aperture (solo per fare un esempio): in questi momenti non stiamo solo guidando i giovani verso il corretto contegno sportivo, ma anche verso una loro più genuina condotta sociale.

L’accettazione delle regole non deve essere vista da nessuno come una scomoda necessità, ma come la convenienza di entrambi (non a caso la convenzione e la consuetudine sono le prime fonti del diritto). Ma ciò che mi preme sottolineare in questo post è l’opportunità che il gioco degli scacchi nel contesto scolastico dia l’occasione agli educatori (insegnanti e istruttori) di guidare i bambini verso una loro crescita emotiva e mediare tra i loro scambi interpersonali suggerendo una pragmatica consapevolezza di risoluzione delle liti. Gli scacchi hanno già intrinsecamente un’autoregolazione, perché mossa dopo mossa i giocatori devono necessariamente prendere in considerazione il volere dell’altro e spesso scendere a compromessi o accettare delle concessioni. L’obiettività e la perizia di un giocatore sono le doti psicologiche più adatte per qualsiasi giocatore, ecco perché ritengo che queste piccole “beghe” siano ancora più importanti da risolvere di piccole combinazioni di scacco matto.

Il gusto della “manipolazione”: un gioco nel gioco.

La foto, tratta dal web, è un classico quotidiano di chi insegna gli scacchi ai bambini: a parte l’eccezionale riuscita di posizionare in cima il pedone sopra l’Alfiere (niente  magia, il pedone ha il classico buco al centro per la perdita del suo piombo). Io stesso potrei tetimoniare di centinaia di questi tentativi di utilizzare i pezzi degli scacchi come “costruzioni” per svariate figure.

In genere ciò accade verso la fine della lezione, quando i bambini sono un po’ stanchi di tanto impegno e dispendio nervoso per la ricerca della vittoria, ma durante tutto il tempo (anche a livello professionistico a volte) i giocatori hanno spesso qualche pezzo tra le dita per rotearlo a piacere. Nei miei corsi di aggiornamento istruttori ho sempre spiegato questa cosa molto positivamente: a mio parere quello della “manipolazione” è uno degli elementi più attrattivi del gioco degli scacchi, non a caso è il primo approccio che tentano anche bambini di 3 anni che vedono gli altri giocare.

Ci sono molti aspetti di questa esplorazione che si fa coi pezzi degli scacchi (sono tanti anche i bambini che portano i pezzi direttamente alla bocca) e alcuni di loro sono collegati direttamente alla destrezza (abilità della coordinazione fine), all’influenza e al dominio sulle circostanze, ma anche semplicemente ad un gratuito senso estetico che solletica la fantasia e che fa spesso brillare di meraviglia gli occhi del protagonista e sorridere i suoi spettatori. Insomma ancora una volta un gioco nel gioco!