La gestione dei conflitti.

Illustrazione di Francis Manfredi
Il gioco degli scacchi, tra le altre cose, può essere anche un grande strumento per accompagnare i bambini (ma anche gli adulti) ad una migliore gestione dei conflitti. Spesso accade infatti che la loro naturale litigiosità venga innescata da futili motivi, per i quali comunque c’è solitamente una norma di regolamento. Le liti più comuni sono infatti la scelta del colore (ed esiste innanzi tutto il sorteggio e poi l’alternanza); le mosse irregolari (ed il regolamento ne consente solo 3); la cattiva abitudine di toccare i pezzi o di ritirare le mosse già eseguite (e anche qui vale la regola “Pezzo toccato, pezzo mosso; pezzo lasciato pezzo giocato”, che io ho sintetizzato nel mio proverbio: “Pensare, toccare e giocare: e non si può ritirare”). Altre volte i bambini si lamentano che l’avversario disturba, oppure – una volta in vantaggio – prende in giro.
Nonostante le regole ed il buon senso che l’istruttore può mettere in atto in questi casi spesso la conflittualità rimane come una nuvola sopra i due compagni di gioco e non è raro il caso in cui uno dei due – offeso – preferisca abbandonare le partita per non avere a che fare con l’altro. Ecco, ritengo che questi momenti siano molto più importanti di qualsiasi lezione teorica sulle aperture (solo per fare un esempio): in questi momenti non stiamo solo guidando i giovani verso il corretto contegno sportivo, ma anche verso una loro più genuina condotta sociale.
L’accettazione delle regole non deve essere vista da nessuno come una scomoda necessità, ma come la convenienza di entrambi (non a caso la convenzione e la consuetudine sono le prime fonti del diritto). Ma ciò che mi preme sottolineare in questo post è l’opportunità che il gioco degli scacchi nel contesto scolastico dia l’occasione agli educatori (insegnanti e istruttori) di guidare i bambini verso una loro crescita emotiva e mediare tra i loro scambi interpersonali suggerendo una pragmatica consapevolezza di risoluzione delle liti. Gli scacchi hanno già intrinsecamente un’autoregolazione, perché mossa dopo mossa i giocatori devono necessariamente prendere in considerazione il volere dell’altro e spesso scendere a compromessi o accettare delle concessioni. L’obiettività e la perizia di un giocatore sono le doti psicologiche più adatte per qualsiasi giocatore, ecco perché ritengo che queste piccole “beghe” siano ancora più importanti da risolvere di piccole combinazioni di scacco matto.
I proverbi dei bambini.

Il disegno è di Raffaele
La mia abitudine di utilizzare delle rime per far memorizzare ai bambini i principi generali della strategia scacchistica (o anche del movimento dei pezzi, o del contegno sportivo) è talmente coinvolgente che , come ho detto spesso, sono gli stessi bambini a ricercarne di altri. Ormai praticamente ovunque i bambini mi comunicano le loro invenzioni ed io rimango estasiato sia per la loro fantasia, sia per la loro abilità. Naturalmente nelle loro rime spesso manca l’elemento didattico (cioé la “morale della favola”) per cui spesso io li riprendo per creare nuovi proverbi.
Quelli che presento di seguito sono degli esempi tratti da rime dei bambini e rimaneggiati da me per renderli più didascalici:
La Regina è proprio pazza
al primo scacco si oppone e si ammazza;
il Re rimasto solitario
finrà in pasto all’avversario.
(Ilaria O.)
Se il Re è sotto inchiodatura
se ne sta dietro le mura;
ma se è davanti è un’infilata
e la figura dietro è spacciata.
(Ilaria O.)
Il Cavallo sfinito fa uno sbaglio
e invece di un nitrito lancia un raglio.
(Eleonora)
Il pedone con le gambe e con le braccia
ogni pezzo nemico lo caccia.
(Antonio)
I pedoni fanno una catena
e qualcuno si rompe la schiena.
(Andrea)
Quando il Re è sotto shock
non può far neanche “l’arrock”…
(Alessandro)
La creatività e gli scacchi.
Lo spunto per questo post sono due articoli letti ieri sul web: il primo, scritto dal Prof Woland sul blog di Luigi Bruschi, parla di una ricerca sul declino della creatività; il secondo, scritto dall’amico Alex Wild, annuncia il suo prossimo ciclo di 4 anni di scacchi scolastici a 9 classi di seconda primaria.
Il primo articolo parla di una sperimentazione condotta su 300.000 americani, bambini e adulti, sottoposti al test Torrance del pensiero creativo dal professore associato di psicologia dell’educazione presso il College William & Mary a Williamsburg (Virginia) Kyung Hee Kim, e denuncia sostanzialmente una preoccupante diminuzione del pensiero critico e della creatività, intesa come propensione a ricercare diverse soluzioni al problema piuttosto che una strada univoca (come invece vorrebbero la logica e l’intelligenza). L’articolo è citato a corredo della recente esperienza dell’autore di insegnare gli scacchi in una quarta elementare di Firenze e per questo motivo ho avuto modo di leggerlo; mi ha semplicemente ricordato di una somministrazione dello stesso test da parte di una laureanda in Scienza dell’Educazione dell’Università degli Studi di Sassari, Eleonora Frunzio, ad una classe che aveva fatto scacchi con me per tre anni: dalla prima alla terza elementare. I dati raccolti dalla tirocinante e vagliati da un’equipe coordinata dal responsabile del reparto di neuro-psichiatria infantile del Policlinico sassarese, prof. Giuseppe Tola, e dal ricercatore dell’Università di Sassari dott. Arcangelo Uccula, dovevano servire da “sondaggio” (ne furono somministrati di svariati tipi) per privilegiare un’ipotesi di lavoro per una ricerca longitudinale da svolgersi negli anni successivi (progetto poi accantonato per mancanza di fondi). Ma i risultati furono subito giudicati molto interessanti proprio per ciò che concerne la creatività, spiccatamente superiore alla classe gruppo di controllo nella sperimentazione.
Ciò che posso confermare secondo la mia decennale osservazione è che gli scacchi abituano al ragionamento analitico, ma non con rigore matematico, bensì rinforzando il cosiddetto pensiero divergente o laterale: la scelta delle varianti giocate negli scacchi scolastici non è frutto di schematismo ma di un approccio personalissimo al problema. E qui vengo all’articolo di Alex Wild, che scrive appunto del suo ruolo di osservatore nei corsi di scacchi scolastici: lo scopo è quello di fare emergere spontaneamente sia l’interesse che la motivazione semplicemente con l’elemento ludico degli scacchi, senza interferire (errore che fanno molti istruttori “sportivi” alle loro prime esperienze nelle scuole) nei processi psichici dei bambini.
Il motivo di questo atteggiamento, che condivido appieno, è quello di favorire una libertà ed originalità di pensiero e di studiarne (con uno spirito davvero scientifico) le naturali evoluzioni. Potrei citare innumurevoli casi di soluzioni brillanti ai quesiti posti ai miei allievi, ma credo che chiunque abbia a che fare con la fantasia dei bambini abbia capito cosa intendo dire: il mondo visto dai bambini è spesso molto più ricco da quello proposto dagli adulti, quindi il compito dei bravi educatori non deve essere quello di uniformare tutti verso un ipotetico “migliore” ragionamento, ma di comprendere invece le istanze e la sensibilità delle proposte “diverse” suggerite dai bambini.