Scuola Sarda dell’Eccellenza (SSE)

Introduzione: molto più di un semplice gioco
Gli scacchi sono la palestra per eccellenza della mente, un simbolo universale di strategia, pazienza e acume intellettuale. Ma cosa succede quando questo nobile gioco diventa il fulcro di un progetto che unisce formazione d’élite, crescita personale e un forte radicamento nel territorio? Una risposta si cerca di darla in Sardegna con la “Scuola Sarda di eccellenza“, una formazione gratuita organizzata dal Comitato Regionale Scacchi Sardegna per giovani talenti sardi, con lezioni di grandi maestri per migliorare le abilità negli scacchi. Il progetto, finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna, ha visto per ora due incontri recenti a Cagliari (agosto 2025)

e Sassari (settembre 2025),

e ne prevede altri tre itineranti per la Regione, offrendo una combinazione di formazione tecnica, strategia e crescita personale.
L’iniziativa sta ridefinendo le regole per coltivare i talenti del futuro. La “Scuola Sarda d’Eccellenza” non è semplicemente un modello per perfezionare il proprio gioco sulla scacchiera; è un progetto ambizioso che mira a rafforzare la tradizione scacchistica dell’isola con una visione moderna e completa, costruendo atleti e persone prima ancora che giocatori.
Questo articolo svela i quattro “pilastri” che rendono la Scuola Sarda d’Eccellenza un modello prezioso nel suo genere, un vero e proprio laboratorio per i campioni di domani.
1. L’accesso è gratuito, la qualità è altissima
Una delle caratteristiche più straordinarie del progetto è tanto semplice quanto rivoluzionaria: la partecipazione è completamente gratuita, sia per i giovani talenti Under 18 che per i loro istruttori. Questa scelta democratizza l’accesso all’eccellenza, rimuovendo le barriere economiche che troppo spesso limitano la crescita dei potenziali campioni.
Il contrasto tra la gratuità del percorso e il livello della formazione è impressionante. Le lezioni sono tenute da maestri di fama nazionale e internazionale, offrendo ai partecipanti un’opportunità di apprendimento che sarebbe difficile da replicare altrove. Tra i docenti spiccano nomi di altissimo profilo, come il GM Luca Moroni (tre volte campione italiano), il GM Lexy Ortega (Responsabile della Scuola di Formazione federale), la WIM Camelia Ciobanu (recentemente passata alla Federazione Scacchistica Italiana), il MI Pierluigi Piscopo (che ha riproposto il modello che tanta fortuna ha avuto nella Corsica),l’FM Raffaele Di Paolo e l’Istruttore Capo e Tutor FSI Sebastiano Paulesu.
Inoltre per le lezioni online daranno un grande contributo il GM Alberto David e l’IM Giulio Borgo. Questa profondità di competenze garantisce che l’unica cosa che conta sia il talento, non il portafoglio.
2. Non si insegnano solo le mosse, si costruisce la mentalità
L’approccio della scuola è globale. Alla formazione tecnica e strategica, fondamentale per padroneggiare il gioco, si affianca un percorso mirato di crescita personale. L’elemento più innovativo di questa visione è il coinvolgimento diretto dello psicologo dello sport Manolo Cattari (da anni collabora nella formazione istruttori della Federazione Scacchistica Italiana) e di esperti nel campo nutrizionistico.
Il ruolo di questi ultimi professionisti non è secondario, ma complementare: fornire un supporto emotivo e motivazionale per aiutare gli studenti a sviluppare la resilienza, la concentrazione e la serenità necessarie per competere ai massimi livelli. È una filosofia che Manolo Cattari, nel suo ruolo, ritiene fondamentale per lo sviluppo degli atleti, come evidenziato dal progetto stesso: non si tratta solo di apprendere mosse e strategie: il supporto emotivo e motivazionale è fondamentale per crescere, imparare a gestire la pressione e affrontare le sfide con serenità.
Questo focus sul benessere mentale è un fattore differenziante e cruciale. Non forma semplici giocatori, ma plasma atleti completi, capaci di gestire le complessità emotive della competizione e di trasformare la pressione in una spinta verso il successo.
3. Si formano i giocatori, ma anche i loro istruttori
Il progetto si muove su un doppio binario strategico, dimostrando una visione a lungo termine. L’obiettivo non è solo coltivare il talento dei giovani scacchisti Under 18, ma anche investire nella formazione dei loro istruttori.
Questa scelta è fondamentale per “creare un percorso strutturato e duraturo sul territorio”. Elevando la qualità dell’insegnamento alla base, la scuola garantisce che l’eccellenza non rimanga un’esperienza isolata per pochi, ma si diffonda capillarmente in tutta l’isola. L’impatto di questa strategia è profondo: non si tratta di scoprire un singolo campione, ma di rafforzare l’intera comunità scacchistica sarda, assicurando una crescita sostenibile per le generazioni future.
4. Non è un club locale, ma un progetto di sistema
La Scuola Sarda d’Eccellenza non è l’iniziativa isolata di un singolo club, ma un progetto di sistema con solide fondamenta istituzionali. È promosso dal Comitato Regionale Scacchi Sardegna, presieduto da Danilo Mallò, e, aspetto cruciale, è realizzato con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna. Sotto la supervisione di Giandomenico Sabiu, l’iniziativa ha guadagnato ulteriore prestigio.
Il rilievo istituzionale del progetto è stato confermato dalla presenza di Bruno Perra, presidente del CONI Sardegna, all’evento inaugurale di Cagliari. Questo solido supporto pubblico è vitale per la sostenibilità e il successo del progetto, fornendo le risorse e la legittimità necessarie per realizzare la sua visione a lungo termine. Lo eleva ben al di sopra di una semplice attività sportiva locale, trasformandolo in un investimento strategico sul capitale umano e culturale della regione.
Conclusione: qual è la prossima mossa?
La Scuola Sarda d’Eccellenza si distingue come un modello esemplare. Combinando accesso gratuito, una formazione tecnica d’élite, un innovativo supporto psicologico e una visione strategica che coinvolge l’intera comunità, sta costruendo le basi per un futuro radioso degli scacchi sull’isola.
È un progetto che dimostra come lo sport possa diventare un potente strumento di crescita, inclusione e valorizzazione del territorio. Con un modello così completo e innovativo, la domanda sorge spontanea: quale sarà la prossima generazione di talenti che la Sardegna regalerà al mondo degli scacchi?
“Nuove” idee sugli scacchi.

Richard Reti: un visionario del gioco
Una vita breve ma intensa
Richard Reti nacque a Pezinok, vicino a Bratislava, il 28 maggio 1889, nel Regno d’Ungheria, in una famiglia benestante di origine ebraica. Dopo aver frequentato le scuole a Pezinok, si trasferì a Vienna dove studiò lingue, scienza, letteratura, pittura e soprattutto matematica. Questa formazione multidisciplinare caratterizzerà il suo approccio innovativo agli scacchi.
La sua vita fu sorprendentemente breve: Reti morì a Praga il 6 giugno 1929, a soli 40 anni. Fu stroncato da una banale scarlattina (contratta durante una visita ad un amico in ospedale) ma in quei quattro decenni trasformò il modo di pensare gli scacchi per sempre.
L’ascesa al successo
Reti scelse la strada del professionismo scacchistico dopo aver vinto il grande torneo di Kaschau nel 1918. La sua carriera si contraddistinse per l’insofferenza verso i precetti tradizionali (dogmatismo) e una ricerca costante di nuove idee. Curioso scherzo del destino: Reti chiuse la sua carriera con la vittoria nel Torneo di Vienna del 1928 davanti a Spielmann e Tartakower, torneo che nel 1909, vincendolo, aveva iniziato la sua ascesa scacchistica.

Una vittoria particolarmente memorabile: nel 1924 utilizzò l’Apertura Reti (detta anche apertura Zukertort) per battere l’allora campione del mondo José Raúl Capablanca, una delle imprese più celebrate nella storia scacchistica.
Il fondatore dell’ipermodernismo
Il contributo più duraturo di Reti è la fondazione della scuola ipermoderna. L’ipermodernismo è una teoria degli scacchi sviluppatasi nei primi decenni del Novecento dalle tesi di Aaron Nimzowitsch, Gyula Breyer, lo stesso Richard Reti, Xavier Tartakower e Alexander Alekhine. Questa teoria afferma che i due giocatori per controllare il centro non hanno bisogno di occuparlo materialmente con i pedoni, ma esso può anche essere controllato con i pezzi leggeri (Alfieri e Cavalli).
L’Ipermodernismo negli anni Venti consentì un enorme balzo in avanti nella comprensione generale del gioco. Questa rivoluzione concettuale rappresentò un distacco radicale dal dogmatismo classico, permettendo agli scacchisti di pensare il gioco con maggiore libertà e flessibilità.
Scacchista completo: compositore di studi
Oltre a essere un magistrale giocatore, Reti fu un eccezionale compositore di studi scacchistici. Agli inizi della carriera Reti era un giocatore di gambetti e estremamente combinativo, poi divenne anche un compositore di studi di altissimo livello. Reti compose numerosi studi, tutt’ora ineguagliati per semplicità e profondità d’idee.
Gli studi di Reti non erano mere esercitazioni tecniche, ma vere opere d’arte che racchiudevano intuizioni profonde sulla natura del gioco. Ancora oggi, decenni dopo la sua morte, rimangono modelli di eleganza e originalità.
Maestro e divulgatore
Reti non fu solo un giocatore straordinario, ma anche un comunicatore geniale. Nel 1924 tenne una serie di lezioni a Buenos Aires, successivamente raccolte nel volume “Per una scienza degli scacchi“, pagine dall’indiscusso valore didattico che ci regalano una straordinaria fotografia dello stato delle idee della scuola ipermoderna nel momento del suo più delicato e vigoroso fiorire.
Scrisse due importanti libri tra i più interessanti e ben fatti nell’intera produzione scacchistica mondiale: “I maestri della scacchiera” e “Nuove idee negli scacchi“, due volumi di esclusiva impostazione didattica, niente affatto banali ma estremamente efficaci ed ammirevoli per il loro stile lineare.
L’eredità duratura
Sebbene Richard Reti scomparisse prematuramente nel 1929, il suo impatto sugli scacchi rimane indistruttibile. L’Apertura Reti continua ad essere giocata ai massimi livelli; l’ipermodernismo rimane una parte fondamentale della teoria moderna; i suoi studi continuano a meravigliare per ingegno e bellezza; e i suoi libri conservano un valore didattico straordinario per chi voglia comprendere non solo come giocare meglio, ma perché gli scacchi moderni sono come sono.
Reti rappresenta il prototipo dello scacchista completo: giocatore, compositore, teorico e maestro. La sua breve vita è un promemoria che l’impatto di una persona sulla storia non è misurato dal numero degli anni vissuti, ma dalla profondità e dalla durata del contributo offerto.
Bibliografia essenziale
- I maestri della scacchiera (Masters of the Chessboard)
- Nuove idee negli scacchi (Modern Ideas in Chess)
- Per una scienza degli scacchi (The Ideas Behind the Chess Pieces)
Questi volumi rimangono imprescindibili per chi voglia comprendere l’evoluzione del pensiero scacchistico nel XX secolo.
Vincere quando non c’è “niente da fare”

Introduzione: la strategia nel silenzio della scacchiera
“La tattica è sapere che cosa fare quando c’è qualcosa da fare e la strategia è sapere che cosa fare quando non c’è niente da fare”. Questa definizione di Xavier Tartakower cattura l’essenza delle fasi più tranquille della partita, ed è particolarmente vera nei finali di pedoni. Quando i pezzi più potenti hanno lasciato la scacchiera, la vittoria non dipende più da combinazioni spettacolari, ma da sottigliezze posizionali che richiedono una comprensione profonda e una pazienza strategica.
In questo silenzio apparente, emerge un’arma tanto invisibile quanto letale: il “tempo di riserva” del pedone. Si tratta di una delle risorse strategiche più raffinate e decisive in questa fase del gioco, spesso il fattore che, in una posizione apparentemente pari, inclina l’ago della bilancia verso la vittoria o la sconfitta.
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1. Definire l’indefinibile: il tempo di riserva e lo zugzwang
Per padroneggiare questa tecnica, è essenziale comprendere due concetti strettamente collegati: il tempo di riserva e la sua conseguenza più temuta, lo zugzwang.
1.1 Il “Tempo di riserva” del pedone
Nel suo manuale “Chess Endgame Training“, Bernd Rosen descrive il tempo di riserva come una mossa di pedone tenuta “in serbo” per essere utilizzata in un momento critico. Il suo scopo è cedere il tratto all’avversario senza peggiorare la propria posizione. A differenza dei pezzi, che possono muoversi avanti e indietro, le mosse di pedone sono irreversibili. Ogni spinta è una decisione strategica cruciale che consuma una risorsa finita. Avere un tempo di riserva significa possedere un’opzione in più rispetto all’avversario, una mossa “d’attesa” che può essere giocata quando qualsiasi altra mossa rovinerebbe la propria struttura. Il punto chiave da ricordare è che conservare un tempo di riserva è un atto di pazienza strategica.
1.2 La conseguenza: lo zugzwang
L’obiettivo finale dell’utilizzo di un tempo di riserva è mettere l’avversario in zugzwang. Il grande teorico Mark Dvoretsky, nel suo “Endgame Manual“, definisce questo concetto in modo lapidario: “Zugzwang is a situation in which each possible move worsens one’s position.” (Lo zugzwang è una situazione in cui ogni mossa possibile peggiora la propria posizione). Quando un giocatore è in zugzwang, è obbligato a muovere, ma ogni sua mossa legale porta a un deterioramento decisivo della sua posizione, consegnando di fatto la partita all’avversario.
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2. La teoria in pratica: un esempio didattico fondamentale
Per illustrare come un tempo di riserva possa decidere una partita, analizziamo un esempio teorico illuminante tratto dal già citato “Chess Endgame Training” di Bernd Rosen.

In questa posizione, uno studio di Grigoriev, il piano del Bianco è chiaro e istruttivo:
- Fissare la struttura pedonale del Nero sull’ala di re.
- Conservare le mosse del pedone ‘f’ come tempi di riserva.
- Utilizzare questi tempi al momento opportuno per vincere l’opposizione e penetrare con il Re.
Osservate attentamente come si sviluppa il piano:
- … Re6
- Rf4 Rf6
- h4!
Il Bianco fissa i pedoni neri, impedendo loro di creare controgioco. Ora il Nero non ha mosse di pedone utili e deve muovere solo il Re.
- … Rg7
- Rg5 Rg8
- f3!
Ecco il primo tempo di riserva. Un giocatore impaziente potrebbe tentare di muovere subito il Re, ma ciò cederebbe l’opposizione e vanificherebbe il vantaggio. f3! è una mossa di pazienza che trasferisce la pressione sul Nero, cedendogli la mossa senza peggiorare la propria posizione e, anzi, aprendo la strada al proprio Re verso la sesta traversa.
- … Rf8
- Rh6 Rf7
- f4!
Il secondo e decisivo tempo di riserva. Il Nero è ora in Zugzwang. È costretto a muovere il Re, ma qualsiasi sua mossa permetterà al Re bianco di vincere l’opposizione e decidere la partita.
- … Rf8
- Rh7 Rf7
- Kg8 +-
Il Nero è costretto a cedere il passo e il Bianco invade la posizione, vincendo. Questo semplice esempio dimostra la potenza devastante di una singola mossa di pedone tenuta in serbo per il momento giusto. Memorizzate questa manovra: è un’arma fondamentale nel vostro arsenale di finalista.
Conclusione: l’importanza della pazienza e della pratica
Come abbiamo visto, i tempi di riserva dei pedoni sono un’arma strategica formidabile, capace di trasformare posizioni apparentemente equilibrate in vittorie forzate. Padroneggiare questa tecnica richiede una profonda comprensione della strategia dei finali e, soprattutto, una grande pazienza.
L’unico modo per affinare questa abilità è attraverso l’esercizio. I finali richiedono pratica costante. Non scoraggiatevi se questi concetti sembrano difficili. Nessun grande giocatore è nato maestro di finali. La pazienza che dedicate allo studio di queste posizioni vi ripagherà cento volte sulla scacchiera. Il mio consiglio è quello di dedicare tempo a risolvere problemi di finali, studiando posizioni teoriche e analizzando partite magistrali. Solo così si può sviluppare l’intuizione necessaria per riconoscere e sfruttare queste sottigliezze strategiche, trasformando il silenzio della scacchiera in un’eloquente sinfonia di vittoria.