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“Nuove” idee sugli scacchi.

Richard Reti: un visionario del gioco
Una vita breve ma intensa
Richard Reti nacque a Pezinok, vicino a Bratislava, il 28 maggio 1889, nel Regno d’Ungheria, in una famiglia benestante di origine ebraica. Dopo aver frequentato le scuole a Pezinok, si trasferì a Vienna dove studiò lingue, scienza, letteratura, pittura e soprattutto matematica. Questa formazione multidisciplinare caratterizzerà il suo approccio innovativo agli scacchi.
La sua vita fu sorprendentemente breve: Reti morì a Praga il 6 giugno 1929, a soli 40 anni. Fu stroncato da una banale scarlattina (contratta durante una visita ad un amico in ospedale) ma in quei quattro decenni trasformò il modo di pensare gli scacchi per sempre.
L’ascesa al successo
Reti scelse la strada del professionismo scacchistico dopo aver vinto il grande torneo di Kaschau nel 1918. La sua carriera si contraddistinse per l’insofferenza verso i precetti tradizionali (dogmatismo) e una ricerca costante di nuove idee. Curioso scherzo del destino: Reti chiuse la sua carriera con la vittoria nel Torneo di Vienna del 1928 davanti a Spielmann e Tartakower, torneo che nel 1909, vincendolo, aveva iniziato la sua ascesa scacchistica.

Una vittoria particolarmente memorabile: nel 1924 utilizzò l’Apertura Reti (detta anche apertura Zukertort) per battere l’allora campione del mondo José Raúl Capablanca, una delle imprese più celebrate nella storia scacchistica.
Il fondatore dell’ipermodernismo
Il contributo più duraturo di Reti è la fondazione della scuola ipermoderna. L’ipermodernismo è una teoria degli scacchi sviluppatasi nei primi decenni del Novecento dalle tesi di Aaron Nimzowitsch, Gyula Breyer, lo stesso Richard Reti, Xavier Tartakower e Alexander Alekhine. Questa teoria afferma che i due giocatori per controllare il centro non hanno bisogno di occuparlo materialmente con i pedoni, ma esso può anche essere controllato con i pezzi leggeri (Alfieri e Cavalli).
L’Ipermodernismo negli anni Venti consentì un enorme balzo in avanti nella comprensione generale del gioco. Questa rivoluzione concettuale rappresentò un distacco radicale dal dogmatismo classico, permettendo agli scacchisti di pensare il gioco con maggiore libertà e flessibilità.
Scacchista completo: compositore di studi
Oltre a essere un magistrale giocatore, Reti fu un eccezionale compositore di studi scacchistici. Agli inizi della carriera Reti era un giocatore di gambetti e estremamente combinativo, poi divenne anche un compositore di studi di altissimo livello. Reti compose numerosi studi, tutt’ora ineguagliati per semplicità e profondità d’idee.
Gli studi di Reti non erano mere esercitazioni tecniche, ma vere opere d’arte che racchiudevano intuizioni profonde sulla natura del gioco. Ancora oggi, decenni dopo la sua morte, rimangono modelli di eleganza e originalità.
Maestro e divulgatore
Reti non fu solo un giocatore straordinario, ma anche un comunicatore geniale. Nel 1924 tenne una serie di lezioni a Buenos Aires, successivamente raccolte nel volume “Per una scienza degli scacchi“, pagine dall’indiscusso valore didattico che ci regalano una straordinaria fotografia dello stato delle idee della scuola ipermoderna nel momento del suo più delicato e vigoroso fiorire.
Scrisse due importanti libri tra i più interessanti e ben fatti nell’intera produzione scacchistica mondiale: “I maestri della scacchiera” e “Nuove idee negli scacchi“, due volumi di esclusiva impostazione didattica, niente affatto banali ma estremamente efficaci ed ammirevoli per il loro stile lineare.
L’eredità duratura
Sebbene Richard Reti scomparisse prematuramente nel 1929, il suo impatto sugli scacchi rimane indistruttibile. L’Apertura Reti continua ad essere giocata ai massimi livelli; l’ipermodernismo rimane una parte fondamentale della teoria moderna; i suoi studi continuano a meravigliare per ingegno e bellezza; e i suoi libri conservano un valore didattico straordinario per chi voglia comprendere non solo come giocare meglio, ma perché gli scacchi moderni sono come sono.
Reti rappresenta il prototipo dello scacchista completo: giocatore, compositore, teorico e maestro. La sua breve vita è un promemoria che l’impatto di una persona sulla storia non è misurato dal numero degli anni vissuti, ma dalla profondità e dalla durata del contributo offerto.
Bibliografia essenziale
- I maestri della scacchiera (Masters of the Chessboard)
- Nuove idee negli scacchi (Modern Ideas in Chess)
- Per una scienza degli scacchi (The Ideas Behind the Chess Pieces)
Questi volumi rimangono imprescindibili per chi voglia comprendere l’evoluzione del pensiero scacchistico nel XX secolo.
Vincere quando non c’è “niente da fare”

Introduzione: la strategia nel silenzio della scacchiera
“La tattica è sapere che cosa fare quando c’è qualcosa da fare e la strategia è sapere che cosa fare quando non c’è niente da fare”. Questa definizione di Xavier Tartakower cattura l’essenza delle fasi più tranquille della partita, ed è particolarmente vera nei finali di pedoni. Quando i pezzi più potenti hanno lasciato la scacchiera, la vittoria non dipende più da combinazioni spettacolari, ma da sottigliezze posizionali che richiedono una comprensione profonda e una pazienza strategica.
In questo silenzio apparente, emerge un’arma tanto invisibile quanto letale: il “tempo di riserva” del pedone. Si tratta di una delle risorse strategiche più raffinate e decisive in questa fase del gioco, spesso il fattore che, in una posizione apparentemente pari, inclina l’ago della bilancia verso la vittoria o la sconfitta.
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1. Definire l’indefinibile: il tempo di riserva e lo zugzwang
Per padroneggiare questa tecnica, è essenziale comprendere due concetti strettamente collegati: il tempo di riserva e la sua conseguenza più temuta, lo zugzwang.
1.1 Il “Tempo di riserva” del pedone
Nel suo manuale “Chess Endgame Training“, Bernd Rosen descrive il tempo di riserva come una mossa di pedone tenuta “in serbo” per essere utilizzata in un momento critico. Il suo scopo è cedere il tratto all’avversario senza peggiorare la propria posizione. A differenza dei pezzi, che possono muoversi avanti e indietro, le mosse di pedone sono irreversibili. Ogni spinta è una decisione strategica cruciale che consuma una risorsa finita. Avere un tempo di riserva significa possedere un’opzione in più rispetto all’avversario, una mossa “d’attesa” che può essere giocata quando qualsiasi altra mossa rovinerebbe la propria struttura. Il punto chiave da ricordare è che conservare un tempo di riserva è un atto di pazienza strategica.
1.2 La conseguenza: lo zugzwang
L’obiettivo finale dell’utilizzo di un tempo di riserva è mettere l’avversario in zugzwang. Il grande teorico Mark Dvoretsky, nel suo “Endgame Manual“, definisce questo concetto in modo lapidario: “Zugzwang is a situation in which each possible move worsens one’s position.” (Lo zugzwang è una situazione in cui ogni mossa possibile peggiora la propria posizione). Quando un giocatore è in zugzwang, è obbligato a muovere, ma ogni sua mossa legale porta a un deterioramento decisivo della sua posizione, consegnando di fatto la partita all’avversario.
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2. La teoria in pratica: un esempio didattico fondamentale
Per illustrare come un tempo di riserva possa decidere una partita, analizziamo un esempio teorico illuminante tratto dal già citato “Chess Endgame Training” di Bernd Rosen.

In questa posizione, uno studio di Grigoriev, il piano del Bianco è chiaro e istruttivo:
- Fissare la struttura pedonale del Nero sull’ala di re.
- Conservare le mosse del pedone ‘f’ come tempi di riserva.
- Utilizzare questi tempi al momento opportuno per vincere l’opposizione e penetrare con il Re.
Osservate attentamente come si sviluppa il piano:
- … Re6
- Rf4 Rf6
- h4!
Il Bianco fissa i pedoni neri, impedendo loro di creare controgioco. Ora il Nero non ha mosse di pedone utili e deve muovere solo il Re.
- … Rg7
- Rg5 Rg8
- f3!
Ecco il primo tempo di riserva. Un giocatore impaziente potrebbe tentare di muovere subito il Re, ma ciò cederebbe l’opposizione e vanificherebbe il vantaggio. f3! è una mossa di pazienza che trasferisce la pressione sul Nero, cedendogli la mossa senza peggiorare la propria posizione e, anzi, aprendo la strada al proprio Re verso la sesta traversa.
- … Rf8
- Rh6 Rf7
- f4!
Il secondo e decisivo tempo di riserva. Il Nero è ora in Zugzwang. È costretto a muovere il Re, ma qualsiasi sua mossa permetterà al Re bianco di vincere l’opposizione e decidere la partita.
- … Rf8
- Rh7 Rf7
- Kg8 +-
Il Nero è costretto a cedere il passo e il Bianco invade la posizione, vincendo. Questo semplice esempio dimostra la potenza devastante di una singola mossa di pedone tenuta in serbo per il momento giusto. Memorizzate questa manovra: è un’arma fondamentale nel vostro arsenale di finalista.
Conclusione: l’importanza della pazienza e della pratica
Come abbiamo visto, i tempi di riserva dei pedoni sono un’arma strategica formidabile, capace di trasformare posizioni apparentemente equilibrate in vittorie forzate. Padroneggiare questa tecnica richiede una profonda comprensione della strategia dei finali e, soprattutto, una grande pazienza.
L’unico modo per affinare questa abilità è attraverso l’esercizio. I finali richiedono pratica costante. Non scoraggiatevi se questi concetti sembrano difficili. Nessun grande giocatore è nato maestro di finali. La pazienza che dedicate allo studio di queste posizioni vi ripagherà cento volte sulla scacchiera. Il mio consiglio è quello di dedicare tempo a risolvere problemi di finali, studiando posizioni teoriche e analizzando partite magistrali. Solo così si può sviluppare l’intuizione necessaria per riconoscere e sfruttare queste sottigliezze strategiche, trasformando il silenzio della scacchiera in un’eloquente sinfonia di vittoria.
Il vantaggio negli scacchi: usalo o perdilo – il principio di Steinitz

Introduzione: l’effimera natura del vantaggio
Negli scacchi, esistono diversi tipi di vantaggio. Un vantaggio materiale, come avere un pezzo in più, è concreto e spesso duraturo. Tuttavia, vantaggi più sottili come l’iniziativa o una superiorità posizionale sono di natura diversa. Questi vantaggi sono dinamici e, per loro stessa natura, temporanei. Non puoi semplicemente “conservarli” in attesa del momento giusto.
Questa realtà strategica è alla base di uno dei concetti più importanti degli scacchi, formalizzato dal primo campione del mondo ufficiale, Wilhelm Steinitz, e oggi noto come il suo “principio“: un vantaggio deve essere sfruttato attivamente con mosse energiche e minacce concrete. Se un giocatore con un vantaggio di posizione o di iniziativa gioca in modo passivo, quel vantaggio è destinato a svanire. In breve: usalo o perdilo.
1. Che cos’è l’Iniziativa? Più importante del materiale
L’iniziativa è la capacità di creare minacce che costringono l’avversario a mettersi sulla difensiva, reagendo alle tue mosse invece di portare avanti i propri piani. Avere l’iniziativa significa dettare il corso del gioco.
Nel loro libro Find the Right Plan, Anatoly Karpov e Aleksandr Matsukevich espongono un principio fondamentale: “Nelle posizioni migliori — con un vantaggio di sviluppo — dovresti cercare di impedire al tuo avversario di completare la mobilitazione delle sue forze. Per raggiungere questo obiettivo dovresti scegliere, quando se ne presenta l’opportunità, mosse che presentano minacce concrete, costringendo il tuo avversario a sprecare tempo ed energia per deviarle.”
L’importanza di questo concetto non può essere sottovalutata. Come affermato da Victor Bologan nel suo libro Making My Move: “In una lotta tattica acuta su tutta la scacchiera, l’iniziativa è spesso più importante del materiale.”
2. Ottenere l’Iniziativa tramite il sacrificio: la lezione dei gambetti
I gambetti sono l’esempio più chiaro di come il sacrificio di materiale possa essere un investimento strategico per ottenere un vantaggio dinamico. Cedendo un pedone (o più di uno) nelle prime fasi della partita, un giocatore può accelerare il proprio sviluppo e conquistare l’iniziativa.
Yakov Estrin, nel suo libro Gambits, sottolinea questo punto: “Solo giocando i gambetti lo scacchista inizierà a capire che ottenere posizioni attive, con la possibilità di sferrare colpi combinativi, lo compenserà per il materiale sacrificato“.
Un esempio classico è la partita Estrin-Zlatkin, 1938:
1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ac4 Ac5 4. c3 Cf6 5. d4 exd4 6. cxd4 Ab4+
Qui, invece della mossa più tranquilla 7. Ad2, il Bianco sceglie di sacrificare un pedone.
7. Cc3!? Cxe4 8. 0-0 Axc3 9. d5!
Commentando la mossa 7. Cc3!?, Estrin spiega: “Con la mossa del testo, il Bianco sacrifica il suo pedone centrale per il gusto dell’iniziativa.” Con 9. d5!, il Bianco non solo attacca il cavallo in c6, ma apre anche la diagonale per l’alfiere camposcuro e intensifica la pressione, dimostrando come l’iniziativa ottenuta dal gambetto venga immediatamente convertita in minacce concrete.
3. Sfruttare il vantaggio: dalla posizione all’attacco
Mentre i gambetti rappresentano un modo diretto per “acquistare” l’iniziativa, un vantaggio posizionale ottenuto tramite uno sviluppo superiore o un maggiore controllo dello spazio deve essere convertito in modo altrettanto energico. Se questo vantaggio non viene convertito in minacce concrete, rimane sterile e rischia di evaporare.
La partita Furman-Klovan (Mosca, 1964), analizzata nel già citato Find the Right Plan, è un esempio magistrale di questa trasformazione.

Dopo la diciottesima mossa del Nero (18… Dg5), la situazione è tesa. Il commento al diagramma è eloquente: “Il Nero ha chiaramente superato il suo avversario creando minacce.” Con la donna in g5 e l’alfiere in h4, il Nero minaccia di sfondare sul lato di re, costringendo il Bianco a risposte difensive precise che consumano tempo ed energie. Il Nero non si è accontentato di una posizione “buona”, ma ha iniziato a creare problemi attivi. L’analisi prosegue notando che anche dopo la migliore risposta del Bianco, 20. f3, “il Nero mantiene l’iniziativa con 20… Ah3!”.
Nella partita Botvinnik-Bronstein, commentata in CJS Purdy’s Fine Art of Annotation, vediamo un altro momento critico. Dopo la quattordicesima mossa del Nero, “il Bianco ha deciso di offrire di nuovo un pedone per riguadagnare l’iniziativa.” Botvinnik capì che il vantaggio del Nero si stava consolidando e agì con energia. Un fattore decisivo, sottovalutato dal Nero, fu la sua incapacità di arroccare, una debolezza posizionale che il Bianco trasformò in un bersaglio concreto.
4. Il pericolo della passività: quando il vantaggio sfuma
Il corollario del principio di Steinitz è che la passività è il modo più rapido per perdere un vantaggio. Quando è il momento di agire, esitare o scegliere mosse tranquille può cedere l’iniziativa all’avversario, permettendogli di risolvere i suoi problemi e consolidare la posizione.
Nel suo libro Starting Out The Grunfeld Defence, Jacob Aagaard analizza una posizione in cui il Bianco ha un leggero vantaggio ma rischia di perderlo. Il suo commento è un monito: “Invece il Bianco dovrebbe essere più aggressivo e cercare di mantenere l’iniziativa.” Questa osservazione cattura un momento critico in cui un giocatore deve scegliere tra una mossa passiva che dissipa il vantaggio e una energica che lo alimenta.
Allo stesso modo, un commento in CJS Purdy’s Fine Art of Annotation descrive una particolare mossa come “L’errore iniziale che cede l’iniziativa“, a dimostrazione di quanto velocemente un’opportunità strategica possa essere sprecata con una sola decisione errata.
Conclusione: agire è la chiave
Il principio di Steinitz non è solo una regola, ma una mentalità strategica che separa i giocatori forti da quelli che non riescono a concretizzare le loro posizioni favorevoli. L’essenza di questo principio può essere riassunta in pochi punti chiave:
- L’iniziativa è un vantaggio dinamico: Non è una risorsa statica, ma la capacità di forzare l’avversario a reagire costantemente alle tue minacce.
- Non essere passivo: Un vantaggio posizionale non sfruttato è un vantaggio perso. Devi costantemente cercare modi per creare problemi al tuo avversario.
- Converti il vantaggio: Trasforma concetti astratti come un migliore sviluppo, più spazio o una struttura pedonale superiore in attacchi concreti, minacce tattiche e dilemmi irrisolvibili per il tuo avversario.
In definitiva, la lezione è chiara: quando hai un vantaggio, devi attaccare. Se non lo fai, non solo rischi di perderlo, ma dai al tuo avversario l’opportunità di prenderlo per sé.