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Jorge Luis Borges e gli scacchi.

SCACCHI  SOGNO  E  POESIA

di Carlo Giuseppe Bolmida

 

"Cumuli di erudizione! Ma gli Scacchi sopra tutto!" di Carlo Bolmida

 

Il grande Jorge Luis Borges, come tutti gli intellettuali, amava gli scacchi. Purtroppo non basta essere uno dei più grandi Maitre a penser   per essere anche un ottimo giocatore.  Ho personalmente conosciuto un bidello che batteva regolarmente il vice provveditore agli studi, il professore , furente,   tutta la notte si interrogava sugli abissi insondabili della psiche e del sapere.

Dice Borges sugli scacchi “Occupazione nobilissima, infinitamente superiore a tutti i giochi che io conosco; tuttavia io sono uno dei peggiori scacchisti che esistano.”     Borges:  Imàgenes.

Jorge Luis Borges, in uno dei suoi “ Ultimi Dialoghi “ (con Osvaldo Ferrari ) afferma:  “ Sulla scacchiera ciascun pezzo crede di godere di libero arbitrio ed invece no, la mano del giocatore li spiazza ; anche il giocatore crede di godere di libero arbitrio, ma lui è diretto da un dio che, per ragioni letterarie, dipende a sua volta da altri dei. Si costituisce così tra i pezzi del gioco di scacchi una continuazione senza fine, una catena dalle maglie infinite. Io ho scritto su questo tema due sonetti intitolati “ Scacchi “ ; sì, in tutti e due, il tema è il medesimo: i pezzi si credono liberi e non lo sono, dio si crede libero e non lo è, l’altro dio lo crede e non lo è, e così di seguito, infinitamente.”

Di questi tempi sarebbe buona cosa avvicinarsi un pò alla poesia e meno alla cure di come incrementare il conto in banca.

Intanto è grigia per tutti.. ma, chissà perchè, si respira molto meglio.

Gli scacchi.  (1)

Al tavolo pazienti i giocatori
spingono lenti i pezzi. Bianco e Nero
avvinti li terranno in quel severo
ambito ove si odiano i due colori.

Là dentro irradian magici rigori
le fugure: Torre d’Omero, leggero
Cavallo, armata Regina, Re altero,
obliquo Alfiere e pedoni incursori.

E quando i giocatori se ne andranno
quando tutto il tempo passeranno
certamente non sarà cessato il rito

 che in Oriente accese questa guerra
che ora infiamma tutta la Terra:
come  l’altro, questo gioco è infinito…

Gli scacchi (2)

Pacato Re, sbieco Alfiere, agognata
Donna, diritta Torre, pedone latino,
sopra il Bianco e Nero del cammino
cercano e trovano una battaglia armata.

Non sanno che la mano fatata
del giocator governa il lor destino.
Non sanno che un rigore adamantino
regola l’alba e l’intera giornata.

Il giocatore è prigioniero pure
(come disse Kayyam) d’altra scacchiera
di chiari giorni e scure notti.

Dio muove il giocator, lui le figure…
C’è un Dio dietro quel Dio, che impera
su polvere e Tempo e sogni rotti?

(trad. di Sebastiano Paulesu)

 

L’ uomo è pedina di un gioco le cui regole e le cui mosse non dipendono da lui: in queste allegorie scacchistiche vi è una scoperta negazione del libero arbitrio.

Tra i precedenti di questa fantasia idealistica e panteistica va ricordata quella di Miguel de Unamuno :  “ La vita è sogno”.

Sarà forse un sogno, Dio mio, anche questo tuo Universo di cui sei la coscienza eterna e infinita? Sarà un sogno tuo? Sarà che ci stai sognando? Saremo un sogno, un sogno tuo, noi sognatori della vita? “   ( Vita di  Don Chisciotte e Sancio,  parte II, cap. LXXIV ).

Il grande scrittore e filosofo Miguel de Unamuno pubblicò, nel 1912, il suo libro più celebre,  Il sentimento tragico della vita.  Le sue stesse sofferenze può essere che  l’abbiano indotto a pensare che la filosofia serve all’uomo solo quand’essa dà una mano alla poesia e non alla scienza.

Egli si esercitò tutta la vita, con più sofferenza che gloria, al gioco degli scacchi.    Scrisse ne Il romanzo di don Sandolio :

“ Egli gioca come uno che celebri una cerimonia religiosa. O piuttosto no, meglio ancora, come chi crei una silenziosa musica religiosa. Il suo gioco è musicale. Egli afferra i pezzi come se pizzicasse un’arpa.  E, allo stesso modo, m’immagino il suo cavallo, non nitrire, questo giammai! ma respirare musicalmente, allorchè si apprestasse a dar scacco al suo avversario.  E’ come un cavallo alato.  Un Pegaso.  O ancor meglio una chiave di pianoforte di legno, come questa.  E non si posa sulla scacchiera! Non salta: vola. E quando gioca la regina?  Pura musica! “

Ma, parallelamente, Unamuno fu un accanito detrattore dei giocatori di scacchi.  Come traspare chiaramente da questo passo: “ Egli mi battè, non perchè giochi meglio di me, ma perchè non fece che applicarsi al gioco mentre io mi distraevo, mentre io lo osservavo… Non è un uomo intelligente… ma applica ogni più riposta risorsa nel gioco. “

Sono parole che sono altrettante confessioni. Confessioni di impotenza scacchistica. Quante volte ho sentito raccontare questa triste fiaba da scacchisti frustrati , alla ricerca di alibi, ( di anestetico, disse Primo Levi ) : “Ho perso, ma io ho troppe altre cose per la testa, impegni professionali, la famiglia,.. se si considerasse il talento puro, l’intelligenza.. sarei perlomeno I Nazionale. mi distraggo, ho troppa fantasia,..e poi a me il risultato non interessa, mi interessa il bel gioco, io gioco a zona, solo che ho lasciato la donna in presa.. e poi stavo meglio egualmente, ma per un fattore così trascurabile come il Tempo..ha vinto il peggiore “.

Un pò di autocritica? Giammai, ohibò, con il loro cervello?

Certo, possono consolarsi, ci credeva anche Miguel de Unamuno! ( Borges no)

Ma lui era, infine, Miguel de Unamuno.

Scacchi a colazione!

Copertina di "Scacchi a colazione"

La copertina della "mia" copia!

Da ieri ho finalmente tra le mie mani una “rara” copia di “Scacchi a colazione” di Carlo Bolmida (esattamente la copia n° 126/133). Si tratta di una fantastica raccolta di aforismi, proverbi, poesie, articoli tutti a tema scacchistico, impreziositi praticamente ad ogni pagina da un opera dello stesso Bolmida che da qualche mese ho l’onore di ospitare anche nel mio blog, ma soprattutto che ho il piacere di avere con lui una bellissima e stimolante corrispondenza pressoché giornaliera.

Come viene suggerito il libro è da leggersi a “volo d’aquila”, un po’ per volta: scoprendo ogni volta una frase da cui lasciarsi ispirare per il resto della giornata. Così ho fatto io stamattina, a colazione, ho aperto a caso ed ho letto una bellissima considerazione di un anonimo: “Come possiamo sapere che l’uomo di Neanderthal giocasse a scacchi alla cieca? Scavando nei loro siti non è stata trovata alcuna scacchiera né alcun pezzo.”
Ho chiuso il libro e mi sono ripromesso di pensarci durante la giornata. Ho fantasticato che gli scacchisti della preistoria fossero molto più abili di noi essendo in grado di giocare a scacchi senza scacchiera!

Nel libro di Carlo (personaggio eccezionale che ha al suo attivo una avventurosa navigazione al Capo Horn, di cui tornerò a parlare)  ci sono numerosissimi suoi personali aforismi, indicativi di una personalità brillante e ironica che – verosimilmente – deve aver preso poco sul serio gli scacchi se non ha raggiunto grandi vette nell’agonismo. In compenso è stato, con Bruno Manzardo, un attivo dirigente della Società Scacchistica Torinese e anche questo potrebbe aver inciso in un rallentamento dei suoi impegni agonistici.
In ogni caso la creatività e la fantasia che Carlo Bolmida ha trasmesso con le sue opere è senza dubbio molto più preziosa alla popolazione mondiale degli scacchisti  di quella di qualche monomaniaco GM che non è stato in grado di trasmettere la sua passione neppure ai suoi figli.

“Scacchi a colazione” edito da Messaggerie Scacchistiche raccoglie oltre 900 aforismi, citazioni e curiosità scacchistiche. Io ho deciso di sorseggiarle, come stamattina, una alla volta e raccomando ai miei lettori di affrettarsi a procurarsene una copia, dal momento che dal mio ordine sono passate tre settimane prima di riceverlo.

Il vispo campione.

    IL VISPO CAMPIONE                          

         di Carlo Bolmida

"Pedone Sogna" di Carlo Bolmida

 In onore di Luigi Sailer

 

Un vispo campione

Un dì da scacchiera

Si prese un pedone

Sul far della sera.

Felice e contento

Per un tale evento,

pensava eccitato:

l’ho proprio mangiato!

Ma a lui supplicando

Il pedone gridò:

“Coi miei neri stando

Che male ti fò?

Perché sono nero

Sei tanto severo?

Da me non temere

Su questo scacchiere!

Deh, lasciami! Anch’io

Ho il mio Super-Io!

Confuso, contrito,

l’ingenuo esitò,

ma accolse l’invito.

E quei lo mattò.

 

Da cui si deduce quanto sia giusto:

 

“ Non può giocare a scacchi chi è veramente buono.”

Gerald Abrahams